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Piero della Francesca.

Pittore italiano. Aretino di nascita, compì il suo apprendistato artistico presso un pittore locale, Antonio di Anghiari, lavorando successivamente a Firenze con Domenico Veneziano, di cui figurava come aiuto per gli affreschi, perduti, di Sant'Egidio. L'esperienza fiorentina, legata soprattutto alle figure di Masaccio, Veneziano, Paolo Uccello e Beato Angelico, rivela le peculiarità della sua pittura, lontana dalla tradizione disegnativa locale. Sintetizzando le nuove conquiste prospettiche di natura plastica e coloristica, P. realizzò una nuova resa spaziale in cui il ruolo di catalizzatore dell'immagine è demandato a una luminosità il più possibile rispondente al reale, oggettiva e aliena da effetti drammatico-chiaro-scurali, mentre i volumi vengono risolti attraverso ampie stesure cromatiche. La sua pittura restò incompresa e quasi sconosciuta nella capitale toscana, mentre fu particolarmente apprezzata nei centri dell'Italia centrale e centro-settentrionale (Ferrara, Rimini, Bologna, Ancona, Arezzo, Pesaro, Roma, Perugia, e soprattutto Urbino, alla corte di Federico da Montefeltro). Una delle sue prime opere è il Polittico della Misericordia (Borgo San Sepolcro, Museo civico), iniziato nel 1445, ma portato a termine in tempi diversi: nonostante l'adozione del tradizionale fondo dorato, le figure appaiono costruite secondo una impostazione rigorosamente prospettica. Nel pannello centrale, la Madonna della Misericordia, il cui manto forma una specie di nicchia entro cui si organizzano i due gruppi di fedeli, mentre indica simbolicamente il rapporto elementare della fede, costruisce una spazialità reale, del tutto al di fuori del tradizionale appiattimento usato per una simile iconografia. Del medesimo anno è il Battesimo di Cristo (Londra, National Gallery), realizzato per una chiesa di Borgo, in cui compare per la prima volta la soluzione prospettica della lontananza attraverso un'adeguata variazione del colore, secondo la famosa definizione di Longhi che parla di "sintesi prospettica di forma e colore". Nel 1448 P. era a Ferrara, dove realizzò affreschi, ora perduti, nel Castello e in Sant'Andrea, lasciando un'impronta determinante nella pittura locale. Tra il 1440 e il 1450 compì diversi viaggi a Urbino, di cui sono testimonianza la tavola di San Gerolamo con un devoto (Venezia, Accademia) e la più nota Flagellazione di Cristo (Urbino, Galleria nazionale delle Marche), che raffigurerebbe in forma di allegoria la morte violenta di Oddantonio di Montefeltro. La divisione della tela secondo la sezione aurea, la linearità e la perfetta armonia di rapporti geometrici e di colore nell'ambiente architettonico che contiene la scena, l'originale esemplificazione prospettica fanno di quest'opera quasi un manifesto dell'ideale figurativo del primo Rinascimento. Nel 1452 P. fu chiamato ad Arezzo per la decorazione del coro della chiesa di San Francesco. Ad essa attese, con qualche interruzione, fino al 1459, creando con La leggenda della Croce uno dei cicli più complessi e significativi di tutto il Rinascimento. Dell'articolata leggenda che narra la storia della Croce dai tempi di Adamo vennero scelti episodi spettacolari, distribuiti lungo le pareti laterali in tre zone orizzontali sovrapposte, separate da eleganti cornici, sfruttando anche i limitati spazi della parete di fondo a fianco delle grandi finestre, in maniera da realizzare sia un'unità logico-narrativa che compositiva e stilistica. Tra i riquadri di maggiore interesse: Sogno di Costantino, in cui l'atmosfera di sogno e miracolo è suggerita attraverso un ardito gioco di luci, Invenzione delle tre croci, Prova della croce, Salomone e la regina di Saba, Vittoria di Costantino su Massenzio, dove il ritmo di linee, spazi e colori conferisce vivacità alla scena. Durante l'esecuzione di quest'opera P. realizzò una serie di affreschi: la Resurrezione, per il palazzo comunale di Borgo; la Madonna del parto, per una chiesa di Monterchi; la Maddalena, nel duomo di Arezzo; il Polittico di Sant'Agostino, a Borgo; il Polittico di Sant'Antonio, a Perugia. Nel 1459 si recò a Roma per affrescare alcune stanze del Vaticano, secondo la tradizione poi decorate da Raffaello; del soggiorno romano, tuttavia, non restano che due ritratti di evangelisti in Santa Maria Maggiore. Alla corte di Urbino dipinse, dopo il 1460, i due ritratti di Federico da Montefeltro e delle moglie Battista Sforza (Firenze, Uffizi). Nella Madonna di Senigallia (Urbino, Galleria nazionale delle Marche) prevale la solennità architettonica, data dall'incastro dei volumi, così come la Madonna con bambino, angeli, santi e Federico da Montefeltro (Milano, Brera) appare inquadrata dentro un'architettura già bramantesca, con la distribuzione dei personaggi ad emiciclo, come si trattasse di un colonnato; sospeso al limite della semicupola è il simbolo del rapporto aureo, l'uovo, rappresentante un centro compositivo e luminoso. Negli ultimi anni della sua vita P. si dedicò anche all'attività di trattatista, componendo il De prospectiva pingendi, il Libro d'abaco, manuale di matematica per mercanti, e il Libellus de quinque corporibus regularibus. Fra le ultime opere la Natività (Londra, National Gallery). Suoi allievi furono Luca Signorelli e il Perugino (Borgo San Sepolcro, Arezzo 1415 circa - 1492).